Internet for Peace non è stata una campagna di marketing (dice Riccardo Luna)
Internet for Peace non è stata una campagna di marketing
Da leggere. Come è da leggere, in perfetto stile grillinista la chiusa dell'articolo "Come sempre certe accuse qualificano chi le muove. E anche certe risposte. Il tempo dirà chi aveva ragione."
Questo l'articolo, che consiglio di leggere sulla sua sede naturale, ovvero Wired.it
"Subito dopo l'annuncio del Nobel della Pace a Liu Xiaobo, sono comparsi due post complessivamente molto critici sul valore culturale di Internet for Peace, ridimensionato ad una mera campagna di marketing per il giornale. Ma non sarebbe esatto dire che i due autori hanno aspettato l'annuncio di Oslo per dire la loro: Mirko Pallera e Max Cavazzini in passato si erano già espressi con gli stessi toni e gli stessi argomenti. C'è una coerenza in loro che non offusca il tempismo. Avrei poco da aggiungere: le loro sono opinioni, non mi fanno piacere naturalmente, ma ciascuno può pensarla come crede. La Rete è piena dei materiali prodotti in dieci mesi di campagna: ciascuno può guardarsi il video di Negroponte, leggere la lettera di Yoani Sanchez, seguire l'impegno di Shirin Ebadi, e giudicare l'autenticità della campagna fatta.
I due post però hanno chiamato in causa anche i lettori di Wired che hanno aderito alla campagna, ingenuamente, secondo Pallera e Cavazzini. E su Twitter alcuni mi chiedono di rispondere ai fatti contestati. Lo faccio volentieri, provando ad essere esaustivo. 1 – “Dietro la campagna di Internet for Peace c'è Wired”. E' vero, e come direttore ne sono onorato. Abbiamo ideato la campagna e l'abbiamo sostenuta con passione per oltre trecento giorni.
2 – “Dietro Wired c'è Condé Nast, l'editore di Vogue”. Anche questo è vero, ma aggiungo: e allora?
3 - “La campagna è stata voluta da Ogilvy per posizionare Wired”. Questo non è esatto. Ogivily, com'è noto a molti, ha gestito il lancio di Wired in Italia. Il rapporto con l'agenzia – dal punto di vista contrattuale - è finito qui. Non quello con Paolo Iabichino, il direttore creativo, che è persona che stimo (ha inventato il concetto di Invertising, seguite il suo blog su wired.it). Ho raccontato più volte, l'ultima sul Post di Luca Sofri il 20 settembre, che il manifesto di Internet for Peace è stato scritto assieme a Paolo al quale mi ero rivolto per un consiglio. E' una colpa? Il fatto che l'abbia scritto uno che nella vita fa il direttore creativo lo rende fasullo? Non credo.
4 – “La campagna è servita a far vendere più copie a Wired”. Anche questo purtroppo è falso. Non credo di mettere in imbarazzo nessuno se rivelo che il mio editore è stato sempre contrario a Internet for Peace. Per un motivo semplicissimo. Non serviva al giornale, non faceva vendere più copie. Ma aggiungo che mai mi è stato impedito di fare nulla a Wired. La libertà editoriale di cui godo è un lusso: l'unico limite che mi viene dato sono i risultati del giornale. Con Internet for Peace, me ne rendo conto, ho rischiato parecchio: pensare di vendere più copie di un giornale parlando dell'esule birmano Ashin Mettacara invece di Ashton Kutcher, o del blogger georgiano Georgy Jakhaia invece di George Clooney, vuol dire essere pazzi. Io non sono pazzo, non ho pensato un solo istante che quelle storie mi avrebbero fatto vendere più copie, ma pensavo giusto pubblicarle perché quelle voci avessero più forza.
5 - “La campagna è servita ad accreditare l'immagine di Luna quale Internet-man”. Anche questo è sbagliato, almeno come intenzioni. Amo la Rete ma non sono e non voglio essere un Internet-man, qualunque cosa questo voglia dire. Sono un giornalista, con un forte senso civico, che mette molta passione in quello che fa. Sempre. Per un motivo semplice: credo che i giornalisti abbiano il privilegio e la responsabilità di una funzione pubblica. Raccontare la vita. E questo va fatto con scrupolo, coraggio, senza guardare al ritorno economico quale primo obiettivo. Io ci provo, la mia storia testimonia del fatto che ci ho sempre provato. Spero di esserci riuscito anche con Internet for Peace.
6 - “La campagna è servita a prendere pubblicità di aziende che altrimenti non sarebbe arrivata”. Non credo. Io credo che Telecom, Fastweb e Vodafone, per citarne alcuni, avrebbero comunque investito in Wired come hanno fatto. Ma ritengo uno straordinario successo aver convinto corporation mondiali a mettere da parte per una volta la comunicazione dei rispettivi prodotti per dare spazio al valore della comunicazione, all'importanza di comunicare. Vedere, per esempio, Lancia pubblicare una pagina nera con del fil di ferro e la scritta: “World Without Walls”, lo ascrivo ad uno dei meriti di i4p.
7 - “La campagna ha avuto qualche riscontro in Italia fra i soliti blogger ma non all'estero”. E' vero esattamente il contrario. In Italia il manifesto di i4p è stato accolto con molta freddezza da tanti blogger per motivi che non fatico ad immaginare, ma ha avuto grandi riscontri fuori dalla Rete. Penso ai 160 parlamentari che lo hanno firmato (fateci caso, sono gli stessi che oggi vogliono abolire il decreto Pisanu sul wifi); alle tante associazioni che ci hanno sostenuto; alle città e alle Regioni che hanno aderito (dal Veneto leghista alla Puglia di Vendola). Ma il vero successo di questa campagna è stato lontano da qui. Non penso solo agli oltre duecento paesi dove abbiamo registrato adesioni. Il Parlamento europeo ci ha invitato a tenere una conferenza a Bruxelles, la commissaria Ue per la Digital Agenda Noelie Kroes ha sostenuto la candidatura, Pat Mitchell ci ha invitato al Paley Center for Media di New York per chiudere la campagna. E il giorno prima dell'annuncio di Oslo la Bbc in home page ospitava due OpEd, una mia e una di Eugeny Morozov (contro). Con grande rispetto. E soprattutto, il comitato di Oslo ha ufficialmente accolto la candidatura il 1° febbraio scorso, quella assieme ad altre 236. Ma Internet è poi finito nella short list, e, secondo i bookmaker inglesi, era il secondo o terzo favorito per la vittoria finale. Questo nel mondo ha generato un flusso ininterrotto di tweet a favore e contro nell''ultima settimana ma in Italia non lo sa quasi nessuno, non solo perché i giornali e le tv lo hanno ignorato, ma anche perchè in Rete non è che ci sia stata una gara per far circolare la notizia.
8 – “La campagna non ha avuto nessun senso, il Nobel è per le persone”. Questa è una opinione che trascura il messaggio più profondo che abbiamo cercato di dare, ci sarebbe poco da dire, se non che un secondo dopo l'annuncio di Liu Xiaobo mi sono congratulato con il comitato di Oslo: è stata la scelta migliore. Ma da qui a dire che i4p non abbia avuto senso ce ne passa. Bisognerebbe dirlo a Shirin Ebadi, che avendo vinto il Nobel della Pace nel 2003 nella sua qualità di attivista dei diritti umani dissidente, merita almeno lo stesso rispetto di Xiaobo. Bisognerebbe dirlo a Nicholas Negroponte che non sarà famoso e rispettato come Cavazzini e Pallera, ma ha scritto qualche libro fondamentale per la storia della cultura digitale. E uno potrebbero dire: e noi lo sosteniamo lo stesso, era tutta una bufala. D'accordo, sostenetelo, ma io mi tengo stretto il consenso culturale di persone che non conosco personalmente ma che ammiro per i loro lavori, quali Jeff Jarvis o David Weinberger che hanno ritenuto di sostenere le ragioni della candidatura. E il post con cui Vint Cerf, uno dei Padri di Internet, questa estate spiegò perchè aveva senso considerare la Rete molto di più di “un network di computer”. Ma mi tengo stretti anche i tanti, tantissimi messaggi di questo anno, ricevuti anche dopo il verdetto di Oslo, mandati da coloro che hanno capito cosa abbiamo fatto. E perché. Per loro ho infinita gratitudine che mi rende più lieve la fatica di questi giorni frenetici.
Credo di aver detto tutto, altrimenti ci tornerò sopra. Ringrazio Pallera e Cavazzini che con i loro post mi hanno convinto che era necessario dire qualcosa di più prima di chiudere il sipario. Come sempre certe accuse qualificano chi le muove. E anche certe risposte. Il tempo dirà chi aveva ragione."
Dimenticavo ... a chi sarebbe toccato il compito di gestire il milione di euro assegnato dal Comitato al vincitoree del premio?
Dimenticavo 2 ... sul direttore di Wired Riccardo Luna c'è anche la voce su Wikipedia ....
1 commento:
la mia risposta:
Mi spiace e spero di non essere travolto da contro repliche ma io, in questa operazione, vedo per intero un sapore commerciale che, peraltro, mescola internet e Web. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano coloro che, parrebbe, avrebbero avuto il compito di ritirare il premio (un milione di euro). Già .. a chi sarebbe spettata la gestione del premio? Ai vincitori? Al comitato promotore? Sarebbe interessante, allora, sapere, ad esempio come avrebbe pensato di utilizzare Tim Berners Lee questi fondi.
La pregevole risposta:
Ma perchè invece non abbandoniamo queste polemiche vetero-comuniste sul marketing ed affrontiamo il punto del problema? e cioè che Il Nobel a Internet è sbagliato in quanto tale? L'errore è stato considerare internet più buono; la rete non è più buona, è semplicemente più produttiva, dunque produce più "bontà" e più "cattiveria". Molto banalmente, siccome nel mondo la gente che utilizza gli strumenti che ha a disposizione in maniera "buona e utile" è molta di più di coloro che la usano in maniera "malvagia", noi notiamo più "la bontà" che il "male".
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