martedì 20 maggio 2014

Informatica? Però interessante assai ...

BENI CULTURALI, LABORATORIO PER GLI APPALTI PILOTATI
di Antonio Forcellino, Il Manifesto, 20.05.2014


Secondo le ricostruzioni fatti dagli inquirenti di Milano, la manipolazione criminosa degli appalti dell’Expo avviene «in primo luogo con il confezionamento ad hoc di bandi di gara e capitolati».
Non è una novità per noi: in una serie di articoli apparsi sul manifesto, nel lontano 2010, si attirava l'attenzione su questo meccanismo negli appalti dei beni culturali dove «si può essere più discrezionali nella scelta e arrivare a indire bandi 'cuciti addosso' a imprese amiche». La denuncia passò inosservata perché solo l'intervento della magistratura sembra avere il potere in Italia di imporre correzioni alle cattive abitudini della politica e dell'amministrazione e questo è davvero un peccato perché quando si rubano soldi e si danno in cambio prestazioni scadenti o attrezzature inadeguate si può sempre immaginare di risarcire in futuro la frode, e il danno si limita all'erario. Ma quando si aggiudica un appalto sbagliato nei beni culturali si ruba un pezzo di futuro alla nazione, dal momento che l'arte è un bene non riproducibile. E nessuno potrà risarcire le generazioni future dei danni fatti con l'abrasione di un paramento lapideo romano o di quelli arrecati a un rivestimento in stucco tirato via da un bugnato rinascimentale. Gli appalti nei beni culturali sono ad alto rischio di manipolazione per l'alone «creativo» che circonda l'arte e in conseguenza è molto facile in questo settore rivendicare la discrezione e la insondabilità dei criteri adottati nei bandi per favorire una impresa «amica», il nostro patrimonio è stato, in questi anni, il laboratorio dove esercitare e mettere a punto i più arditi sistemi di evasione della legittimità dei bandi, estendendo la «particolarità» dei requisiti anche alle gare di progettazione o di rilievo per favorire potenti lobbies di professionisti. Eppure, chi conosce il restauro sa bene che le gare con «offerta economicamente più vantaggiosa» sono un insulto all'intelligenza dei funzionari onesti e delle imprese sane, dal momento che il restauro ha metodologie e materiali rigorosamente standardizzati e si definisce nel suo compiersi, dopo avere iniziato l'intervento sul manufatto. In un contesto rigidamente definito dalla tradizione e dalla teoria del restauro, chiedere delle «migliorie» in sede di gara è un controsenso. Per smontare questo meccanismo, prima che arrivi la magistratura, basterebbe slegare l'attribuzione dei punteggi sulle offerte tecniche dal punteggio economico. L'ambigua «offerta tecnica» deve servire solo a selezionare per la singola gara un numero, congruo di imprese all'interno del quale si determina il vincitore con il meccanismo automatico dell'offerta media. In questo modo, il Ministero per i beni culturali otterrebbe due risultati importanti per la tutela e la moralità; eliminare la piaga dei massimi ribassi e togliere alla stazione appaltante la possibilità di determinare il vincitore dell'appalto attribuendo punteggi esorbitanti al favorito in maniera da metterlo al sicuro dalla rimonta degli altri concorrenti. Togliendo alla stazione appaltante la possibilità di determinare con il punteggio discrezionale il vincitore, anche i bandi di gara diventerebbero immediatamente più idonei ad assicurare la selezione del miglior contraente, un principio che è alla base della buona amministrazione e che viene troppo spesso sacrificato agli appetiti di gruppi economici e funzionari poco scrupolosi. La questione è semplice e brutale: bisogna impedire alla stazione appaltante di determinare il vincitore con l'attribuzione discrezionale del punteggio e salvaguardare nello stesso tempo la possibilità di selezionare concorrenti tecnicamente idonei. Finché i soprintendenti avranno il potere di determinare con le commissioni di gara il vincitore attribuendo discrezionalmente un punteggio che determina la vittoria di un concorrente saremo tutti a rischio di corruzione, inclusi i soprintendenti e i funzionari direttori dei lavori che si trovano poi sul cantiere e dover gestire imprese non sempre idonee o non necessariamente le più idonee. Nello stesso tempo, se davvero la natura del bene è tale da necessitare selezioni specialissime, si alzi la soglia dell'affidamento diretto del quale, però, è il soprintendente che si prende la responsabilità motivandolo di fronte alla comunità con ragioni ben fondate. Una amministrazione che non è in grado di affidare tali responsabilità neppure in casi eccezionali ai propri soprintendenti come può dormire sonni tranquilli? Ci si chiede da tempo perché un correttivo così semplice non sia stato attuato. Il ministro Franceschini ha oggi una grande opportunità, dopo le finte riforme abortite dai suoi predecessori: può cambiare senza aggravio di spesa un meccanismo molto dannoso alla gestione del patrimonio sia perché utilizza male le poche risorse disponibili sia perché mortifica la professionalità di quelle imprese che sono parte integrante del patrimonio italiano. Un tale provvedimento consegnerebbe ai funzionari e ai soprintendenti, strumenti più idonei a gestire il delicato lavoro materiale sul nostro patrimonio, che infine dovrebbe essere l'obiettivo prioritario di una sana amministrazione.


(la foto, ovviamente, si riferisce ad un restauro "qualsiasi" ...) 

 
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