lunedì 13 dicembre 2010

Wikipedia e Sgarbi

Un esempio di teppismo (non la vicenda personale/politica/professionale) sulla voce Sgarbi inclusa in Wikipedia e di quali siano i rischi insiti nell'uso del mezzo.
Non capisco, francamente, quale soddosfazione possa avere il "teppista di turno".

giovedì 9 dicembre 2010

Ridicoli

Internet in Costituzione: firma per rendere la Rete un diritto

All'Internet Governance Forum di Roma la proposta del giurista Stefano Rodotà e Wired Italia: il Web è di tutti
29 novembre 2010 di Nicola Bruno

* Internet in Costituzione: firma per rendere la Rete un diritto

Vuoi che la Rete sia un diritto per tutti? Firma la petizione di Wired Italia per inserire questo principio in Costituzione. È la posizione del giurista Stefano Rodotà che, durante l’ Internet Governance Forum di Roma, ha lanciato un appello: modificare la Costituzione per garantire il diritto a Internet. Ecco la sua proposta:

Articolo 21-bis della Costituzione
Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adegua
te e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.

sabato 16 ottobre 2010

Internet for Peace non è stata una campagna di marketing (dice Riccardo Luna)

Internet for Peace non è stata una campagna di marketing

Da leggere. Come è da leggere, in perfetto stile grillinista la chiusa dell'articolo "Come sempre certe accuse qualificano chi le muove. E anche certe risposte. Il tempo dirà chi aveva ragione."

Questo l'articolo, che consiglio di leggere sulla sua sede naturale, ovvero Wired.it

"Subito dopo l'annuncio del Nobel della Pace a Liu Xiaobo, sono comparsi due post complessivamente molto critici sul valore culturale di Internet for Peace, ridimensionato ad una mera campagna di marketing per il giornale. Ma non sarebbe esatto dire che i due autori hanno aspettato l'annuncio di Oslo per dire la loro: Mirko Pallera e Max Cavazzini in passato si erano già espressi con gli stessi toni e gli stessi argomenti. C'è una coerenza in loro che non offusca il tempismo. Avrei poco da aggiungere: le loro sono opinioni, non mi fanno piacere naturalmente, ma ciascuno può pensarla come crede. La Rete è piena dei materiali prodotti in dieci mesi di campagna: ciascuno può guardarsi il video di Negroponte, leggere la lettera di Yoani Sanchez, seguire l'impegno di Shirin Ebadi, e giudicare l'autenticità della campagna fatta.

I due post però hanno chiamato in causa anche i lettori di Wired che hanno aderito alla campagna, ingenuamente, secondo Pallera e Cavazzini. E su Twitter alcuni mi chiedono di rispondere ai fatti contestati. Lo faccio volentieri, provando ad essere esaustivo. 1 – “Dietro la campagna di Internet for Peace c'è Wired”. E' vero, e come direttore ne sono onorato. Abbiamo ideato la campagna e l'abbiamo sostenuta con passione per oltre trecento giorni.
2 – “Dietro Wired c'è Condé Nast, l'editore di Vogue”. Anche questo è vero, ma aggiungo: e allora?

3 - “La campagna è stata voluta da Ogilvy per posizionare Wired”. Questo non è esatto. Ogivily, com'è noto a molti, ha gestito il lancio di Wired in Italia. Il rapporto con l'agenzia – dal punto di vista contrattuale - è finito qui. Non quello con Paolo Iabichino, il direttore creativo, che è persona che stimo (ha inventato il concetto di Invertising, seguite il suo blog su wired.it). Ho raccontato più volte, l'ultima sul Post di Luca Sofri il 20 settembre, che il manifesto di Internet for Peace è stato scritto assieme a Paolo al quale mi ero rivolto per un consiglio. E' una colpa? Il fatto che l'abbia scritto uno che nella vita fa il direttore creativo lo rende fasullo? Non credo.

4 – “La campagna è servita a far vendere più copie a Wired”. Anche questo purtroppo è falso. Non credo di mettere in imbarazzo nessuno se rivelo che il mio editore è stato sempre contrario a Internet for Peace. Per un motivo semplicissimo. Non serviva al giornale, non faceva vendere più copie. Ma aggiungo che mai mi è stato impedito di fare nulla a Wired. La libertà editoriale di cui godo è un lusso: l'unico limite che mi viene dato sono i risultati del giornale. Con Internet for Peace, me ne rendo conto, ho rischiato parecchio: pensare di vendere più copie di un giornale parlando dell'esule birmano Ashin Mettacara invece di Ashton Kutcher, o del blogger georgiano Georgy Jakhaia invece di George Clooney, vuol dire essere pazzi. Io non sono pazzo, non ho pensato un solo istante che quelle storie mi avrebbero fatto vendere più copie, ma pensavo giusto pubblicarle perché quelle voci avessero più forza.

5 - “La campagna è servita ad accreditare l'immagine di Luna quale Internet-man”. Anche questo è sbagliato, almeno come intenzioni. Amo la Rete ma non sono e non voglio essere un Internet-man, qualunque cosa questo voglia dire. Sono un giornalista, con un forte senso civico, che mette molta passione in quello che fa. Sempre. Per un motivo semplice: credo che i giornalisti abbiano il privilegio e la responsabilità di una funzione pubblica. Raccontare la vita. E questo va fatto con scrupolo, coraggio, senza guardare al ritorno economico quale primo obiettivo. Io ci provo, la mia storia testimonia del fatto che ci ho sempre provato. Spero di esserci riuscito anche con Internet for Peace.

6 - “La campagna è servita a prendere pubblicità di aziende che altrimenti non sarebbe arrivata”. Non credo. Io credo che Telecom, Fastweb e Vodafone, per citarne alcuni, avrebbero comunque investito in Wired come hanno fatto. Ma ritengo uno straordinario successo aver convinto corporation mondiali a mettere da parte per una volta la comunicazione dei rispettivi prodotti per dare spazio al valore della comunicazione, all'importanza di comunicare. Vedere, per esempio, Lancia pubblicare una pagina nera con del fil di ferro e la scritta: “World Without Walls”, lo ascrivo ad uno dei meriti di i4p.

7 - “La campagna ha avuto qualche riscontro in Italia fra i soliti blogger ma non all'estero”. E' vero esattamente il contrario. In Italia il manifesto di i4p è stato accolto con molta freddezza da tanti blogger per motivi che non fatico ad immaginare, ma ha avuto grandi riscontri fuori dalla Rete. Penso ai 160 parlamentari che lo hanno firmato (fateci caso, sono gli stessi che oggi vogliono abolire il decreto Pisanu sul wifi); alle tante associazioni che ci hanno sostenuto; alle città e alle Regioni che hanno aderito (dal Veneto leghista alla Puglia di Vendola). Ma il vero successo di questa campagna è stato lontano da qui. Non penso solo agli oltre duecento paesi dove abbiamo registrato adesioni. Il Parlamento europeo ci ha invitato a tenere una conferenza a Bruxelles, la commissaria Ue per la Digital Agenda Noelie Kroes ha sostenuto la candidatura, Pat Mitchell ci ha invitato al Paley Center for Media di New York per chiudere la campagna. E il giorno prima dell'annuncio di Oslo la Bbc in home page ospitava due OpEd, una mia e una di Eugeny Morozov (contro). Con grande rispetto. E soprattutto, il comitato di Oslo ha ufficialmente accolto la candidatura il 1° febbraio scorso, quella assieme ad altre 236. Ma Internet è poi finito nella short list, e, secondo i bookmaker inglesi, era il secondo o terzo favorito per la vittoria finale. Questo nel mondo ha generato un flusso ininterrotto di tweet a favore e contro nell''ultima settimana ma in Italia non lo sa quasi nessuno, non solo perché i giornali e le tv lo hanno ignorato, ma anche perchè in Rete non è che ci sia stata una gara per far circolare la notizia.

8 – “La campagna non ha avuto nessun senso, il Nobel è per le persone”. Questa è una opinione che trascura il messaggio più profondo che abbiamo cercato di dare, ci sarebbe poco da dire, se non che un secondo dopo l'annuncio di Liu Xiaobo mi sono congratulato con il comitato di Oslo: è stata la scelta migliore. Ma da qui a dire che i4p non abbia avuto senso ce ne passa. Bisognerebbe dirlo a Shirin Ebadi, che avendo vinto il Nobel della Pace nel 2003 nella sua qualità di attivista dei diritti umani dissidente, merita almeno lo stesso rispetto di Xiaobo. Bisognerebbe dirlo a Nicholas Negroponte che non sarà famoso e rispettato come Cavazzini e Pallera, ma ha scritto qualche libro fondamentale per la storia della cultura digitale. E uno potrebbero dire: e noi lo sosteniamo lo stesso, era tutta una bufala. D'accordo, sostenetelo, ma io mi tengo stretto il consenso culturale di persone che non conosco personalmente ma che ammiro per i loro lavori, quali Jeff Jarvis o David Weinberger che hanno ritenuto di sostenere le ragioni della candidatura. E il post con cui Vint Cerf, uno dei Padri di Internet, questa estate spiegò perchè aveva senso considerare la Rete molto di più di “un network di computer”. Ma mi tengo stretti anche i tanti, tantissimi messaggi di questo anno, ricevuti anche dopo il verdetto di Oslo, mandati da coloro che hanno capito cosa abbiamo fatto. E perché. Per loro ho infinita gratitudine che mi rende più lieve la fatica di questi giorni frenetici.

Credo di aver detto tutto, altrimenti ci tornerò sopra. Ringrazio Pallera e Cavazzini che con i loro post mi hanno convinto che era necessario dire qualcosa di più prima di chiudere il sipario. Come sempre certe accuse qualificano chi le muove. E anche certe risposte. Il tempo dirà chi aveva ragione."


Dimenticavo ... a chi sarebbe toccato il compito di gestire il milione di euro assegnato dal Comitato al vincitoree del premio?

Dimenticavo 2 ... sul direttore di Wired Riccardo Luna c'è anche la voce su Wikipedia ....

mercoledì 1 settembre 2010

Paul Allen in causa contro il Web - da Punto Informatico

Paul Allen in causa contro il Web

In ballo quattro brevetti sull'ecommerce e 11 aziende del Web. Il co-fondatore di Microsoft decide di lanciarsi a testa bassa contro la Rete, ma occhio a bollarlo come patent troll


Paul Allen in causa contro il WebRoma - Interval Licensing, azienda di proprietà del co-fondatore di Microsoft Paul Allen, ha fatto causa a Apple, Facebook, Google, YouTube, eBay, Netflix, Yahoo!, AOL, Office Depot, OfficeMax e Staples: tutti sarebbero colpevoli di aver utilizzato tecnologie protette da quattro brevetti concessi più di dieci anni fa.

Tirati in ballo sono i brevetti numero 6,263,507 e 6,757,682.

Quest'ultimo è intitolato "Sistema per avvertire gli utenti su oggetti di interesse" e riguarda la gestione delle pagine di ecommerce e in particolare un sistema di notifica sui contenuti navigati: ad esso sarebbero inoltre collegati altri due brevetti relativi all'introduzione di contenuti audio e video a determinati avvisi.
Il primo riguarda invece una tecnologia per l'utilizzo del browser per la ricerca di dati audiovisivi e l'indicizzazione di nuove fonti, e coinvolgerebbe tutti tranne Facebook: sembra riguardare varie applicazioni, dagli aggregatori di notizie agli aggiornamenti in tempo reale.

Queste tecnologie sono tutte state sviluppate da Interval Research, azienda di ricerca fondata da Allen nel 1992 e che ha chiuso i battenti nel 2000, e i cui brevetti sono poi stati trasferiti a Interval Licensing. Google, dal momento che ha collaborato nel 1998 con Interval Research, avrebbe una particolare responsabilità.

Google e Facebook hanno subito definito l'accusa "misera" e "senza merito": in ballo, dice in particolare Mountain View, la filosofia del fare business contro quella di competere solo in tribunale.

Il fatto che si tratti di titoli concessi da più di dieci anni, e che di per sé la novità rivendicata sembra scontata, spinge alcuni osservatori a criticare alla base la "non ovvietà" dei meccanismi brevettati, ed è prevedibile che questa sarà anche una delle armi adottate dalla difesa durante il processo.

Per altri, invece, il tutto sarebbe da ricollegare con l'eredità monetaria e morale di Allen: la malattia spingerebbe il cofondatore di Microsoft a trovare un modo per allargare le possibilità delle fondazioni di beneficenza da lui fondante anche dopo la sua morte, e di collegare al suo nome le tecnologie utilizzate dalle più grandi aziende ICT.

Claudio Tamburrino

venerdì 27 agosto 2010

The Web Is Dead. Long Live the Internet

Two decades after its birth, the World Wide Web is in decline, as simpler, sleeker services — think apps — are less about the searching and more about the getting. Chris Anderson explains how this new paradigm reflects the inevitable course of capitalism. And Michael Wolff explains why the new breed of media titan is forsaking the Web for more promising (and profitable) pastures.

Wired

Lo diceva anche Sordi: rossi o neri, so' tutti uguali di Curzio Maltese, Il Venerdì di Repubblica, p. 10

Perché gli italiani si scandalizzano meno degli altri popoli? Le ragioni sono lontane e complesse, affondano le radici in una lunga storia servile. Ma ve ne sono di più recenti, che riguardano il ruolo dell'informazione.
Ha vinto in questi anni un modello populistico anche fra i media. Un esempio concreto, la storia delle auto blu.
Le auto blu sono fonte di enorme scandalo nel Paese dell'eterna tangentopoli. Forse perché gli italiani sono prima automobilisti che cittadini. In ogni caso l'eccesso di scorte indigna assai più dei 50-60 miliardi della tassa della corruzione calcolata dalla Corte dei Conti. Se scrivi che i! 90 per cento delle scuole in molte città non sono a norma di sicurezza, ti arriva qualche e-mai! preoccupata.
Se scrivi la solita tirata contro le auto blu diventi un idolo della rete. Sfruttando questo mora1ismo da casello a casello, i venditori di populismo hanno messo in giro nel tempo una serie di leggende metropolitane sul numero di auto blu circolanti in Italia.
Leggende fortunate quanto grottesche. Per anni si è Sostenuto che fossero mezzo milione. Poi, grazie a un'oscura associazione con sede a Sorrento, si è arrivati al conteggio «scientifico»: 624.330 auto blu.
Quando si leggono certe fesserie basterebbe ragionare e capire che si tratta di uno scherzo. Ma la notizia era troppo bella per essere verificata, quindi è stata pubblicata da Libero a Repubblica, dal Giornale al Corriere.
Poi i! solito Grillo è andato ad Annozero a denunciare le «settecento mila auto blu». Bingo. A quel punto ho chiesto a un amico esperto quanti autisti e quanta spesa sono necessari per mantenere 700 mila auto blu. La risposta è stata: 500 mila autisti (la Fiat ha 221 mila dipendenti, per dire) e 30 miliardi di costo annuo (tre finanziarie). Nel frattempo il ministro Brunetta, un altro che ha capito come il luogo comune paghi sempre, ha avviato un censimento. Dal risultato deludente: le auto blu vere sono «solo» 90 mila, compresa la Panda del Comune di Osio Sotto, gli autisti 60 mila e la spesa annua 4 miliardi. A quel punto il cittadino alza le spalle: tutto qui? Brunetta fa la sua bella figura, gli italiani tornano alla rassegnazione di sempre. Per la stampa di regime, come per la presunta controinformazione, il maneggio del cognato di Fini su una casetta a Montecarlo è uguale ai 60 milioni di Denis Verdini, l'affitto a equo canone di D'Alema pareggia la condanna per mafia di Dell'Utri.
Come diceva Alberto Sordi: «Rossi o neri, so' tutti uguali».

martedì 4 maggio 2010

Posta Certificata Parte 4 (Pazienza!)

Il 29 ho registrato i miei dati ... e da allora sono in attesa di un cenno da parte del meraviglioso portale.

CHE SERVIZIO, CHE EFFICIENZA, CHE ATTENZIONE AL "CLIENTE" (debbo adeguarmi alle loro parole .. non sono cittadino ma cliente anche di fronte all'amministrazione pubblica)

giovedì 29 aprile 2010

Posta certificata parte 3


Ulteriori tentativi.
Nulla da fare ma è cambiato il messaggio, il sistema verrà potenziato !
MA CHE GRANDE CAPACITA' DI PREVISIONE!!!

E poi da una parte sono un "cliente" dall'altra un cittadino.

mercoledì 28 aprile 2010

Posta certificata parte 2



Ce l'ho fatta!
Dopo una giornata di tentativi mi sono connesso.
Questo il risultato "Si è verificato un errore di sistema. Riprova più tardi!"

martedì 27 aprile 2010

Posta certificata


PostaCertificat@, uno strumento sicuro e innovativo

La PostaCertificat@,nasce dalla volontà di aprire un canale di dialogo diretto, semplice e sicuro tra i Cittadini e gli uffici della Pubblica Amministrazione.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 maggio 2009 stabilisce che il "Dipartimento per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e per l'innovazione tecnologica" assegni a titolo non oneroso, a ogni Cittadino che ne faccia richiesta, un indirizzo di Posta Elettronica Certificata da utilizzare per tutte le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione.


Da alcune ore tento di accedere ma mi risponde un messaggio: raggiunto il numero massimo di connessioni.

Provo a vedere a quale ministero faccia riferimento il servizio... NON è un ministero .. questo è il piè di pagina:

© 2010 PostaCertificat@ - Servizio svolto in concessione da
Poste Italiane PI 01114601006 - Telecom Italia PI 00488410010 - Postecom Spa PI 05838841004


Poste e Telecom unite!!!! Dio salvaci!!!!

Immancabile logo W3C in fondo alla pagina per dichiarare la correttezza del codice del sito MA il link NON funziona.
Provo allora a verificare a mano ... la pagina NON E' VERIFICATA e contiene 16 errori!!!

NON MALE!!!!!!
Il seguito alle prossime ....

Il paese della fortuna!



Sono palesemente stupido e non c'è bisogno di dimostrazioni ulteriori.
Ogni giorno risulto vincitore di automobili, accrediti dell'ordine di centinaia di migliaia di euro (se volete pubblico il mio IBAN), carte verdi per varcare la froniera USA, quintali di Viagra e Cialis (ops).
Ragazze dell'est che sono sole si offrono a me senza remore e miliardi di suonerie e musichette e mp3 possono inondare il mio cellulare che peraltro non sarebbe capace di istallarle.
Tutto "a gratis" come se piovesse fortuna, gioia, danaro, donne tutto solo ed esclusivamente per me!

Ma io non ho mai raccolto i miei (peraltro meritati) premi.

Perchè? E me lo chiedo pure? Perchè sono un cretino, ecco perchè!!!

lunedì 26 aprile 2010

[UFFICIALE ] FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!! Parte 2

In poche ore il gruppo [UFFICIALE ] FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!! con gli oltre 300.000 iscritti si è volatilizzato.
Su Facebook non c'è più traccia di Silvio Salzotto il fondatore del gruppo .. e personaggio, peraltro, mai esistito.
Questo blog riprende ed approfondisce oggi alcune delle cose che avevo verificato, peraltro con una certa "facilità".

Ma il "piatto" non può essere abbandonato di certo!!

Ecco oltre 18 mila iscritti al gruppo No FACE-BOOK a pagamento nel 2010! ISCRIVITI (Petizione Online Ufficiale. Questo gruppo NON ha amministratore (Si crea un gruppo e ci si cancella da amministratore per essere meno rintracciabili)
Ma lo stesso nome del gruppo "padre" [UFFICIALE ] FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!! ritorna in un gruppo che conta oltre 12 mila iscritti (alle 22.30 oltre 21 mila iscritti, una media di 5.000 iscrizioni l'ora!!!!) e che ha come amministratore, questa volta, Roberta Sancez.

Foto ammiccante e bellissimi precedenti!!

Lo stesso avatar (dubito, francamente esista, come nel caso del Silvio, questa tal Roberta) fondò il gruppo LA VITA E' UN DONO! PENSA! che aveva questa "ragione sociale": INVIA UN MESSAGGIO PER HAITI 48541 DONA 2€.
In questo caso il numero è "intestato" alla Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze (AGIRE)
Quì sembra tutto funzionare per il meglio, all'apparenza ...

La stessa Roberta fondò un gruppo L'AUTO AD ARIA COMPRESSA! INVITATE TUTTI I VOSTRI CONTATTI!

Nel frattempo il numero degli iscritti al nuovo gruppo CLONE [UFFICIALE ] FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!! cresce, cresce ....

FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!!

[UFFICIALE ] FACEBOOK A PAGAMENTO DAL 1 MAGGIO 2010! ECCO COME EVITARLO!!!

L'ennesima bufala cui hanno aderito in 338.199 (sera del 25 aprile 2010)

L'amministratore del gruppo, uno di quelli con tutte le istruzioni scritte in maiuscolo (crea tensione!)indica una rapida procedura con la quale mettersi al riparo da questa azione.

Ma, sorpresa, l'amministratore Silvio Salzotto non esiste, non partecipa a nessun gruppo e non ha nessun dato visibile. Insomma, palesemente, non esiste affatto, è un nome falso.
Il sito su cui si è rimandati (http://www.facebookgratis.info) è registrato a nome di tal Marco Zambotti, Via Tazaro 16, Roma mail mambotti@hotmail.com
Ovviamente a Roma non esiste Via Tazaro .. ma non è che questo mi sorprenda!

Torniamo al sito http://www.facebookgratis.info che è stato registrato il giorno 07 gennaio 2010 ed il cui server è presso GoDaddy.com e risulta essere, quindi, fuori dalla giurisdizione della magistratura italiana).

Chi avesse seguito la procedura suggerita da questo sito si troverà a ricevere qualche cosa sul proprio cellulare .... per solo 5 euro a settimana, quindi 20 al mese quindi 240 l'anno!!!
Quì la descrizione completa di questa ultima fase, quella della vera e propria truffa:
TRUFFA SU FACEBOOK: FLYCELL.IT (articolo di 11 mesi or sono!!!)

Ovviamente la Direzione tecnica italiana di Facebook latida, come sua abitudine, sinchè non interverrà il Corriere della Sera o Repubblica.
Oppure un bel servizio televisivo in cui verranno frullati nomi, confuse situazioni etc etc.
(Ma dove li prendono i giornalisti che si occupano di tecnologia?)

Solo allora Facebook si sveglierà dal suo sonno e con deciso intervento cancellerà il gruppo, anzi SOLO il moderatore del gruppo ...

domenica 11 aprile 2010

I colori di Giotto


I colori di Giotto. La Basilica di Assisi tra restauro e restituzione virtuale
Dall' 11 Aprile al 5 Settembre 2010 ad Assisi, Basilica di San Francesco e Palazzo del Monte Frumentario

Interessante mostra che inaugurata ieri si apre oggi.

Tutti i media riportano la notizia replicando (senza omettere nemmeno una virgola) i comunicati stampa "Ufficial...i". Quindi sarà meglio citare la fonte prima:

In ogni caso nessuna informazione su caratteristiche tecniche, costi e replicabilità della operazione di "Restauro virtuale". (comunicato ufficiale)
Il progetto di ricostruzione, opera della sezione ITABC del CNR merita ulteriori approfondimenti.

Il sito, opera della società Palomar New Media risulta ancora, in alcune sezioni, in costruzione, e contiene, addirittura ,nella home page errori di codifica ! "In una specifica sezione della mostra è possibile entrare virtualmente all’interno dell’affresco la cui scena" e, ad analisi del validatore W3C risulta contenere 16 errori di linguaggio.

L'analisi del sito ai sensi della legge Legge 9 gennaio 2004, n. 4 "Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici", obbligatoria per i soggetti pubblici temo sia da evitare...

Sulla qualità del lavoro di restauro (quello materiale), comunque, penso ci sia poco da discutere ...

mercoledì 7 aprile 2010

Se nell'era digitale si scava una voragine (Corriere della Sera)

Riflessioni sulla memoria

Le innovazioni tecnologiche e la carta. Riflessione sulla capacità di salvaguardare il patrimonio della civiltà

Massimo Gaggi

Le foto di un reportage, tre anni fa in Alaska, sono andate perdute per la rottura dell’hard disk del mio computer. Quelle delle vacanze di due anni fa non le trovo più: finite in una memory card in fondo a qualche cassetto. Le immagini di dieci anni fa so perfettamente dove sono: in un vecchio floppy disk. Che i miei computer attuali non sono in grado di leggere. Le foto della mia prima vacanza — altopiano del Renon, 1957 — sono invece sempre lì: cartoncini appena ingialliti, tenuti insieme con un elastico in una scatola da scarpe.

La carta, rigida e costosa, viene sempre più spesso sostituita dalle tecnologie digitali: flessibili, economiche, a basso impatto ambientale e ingombro zero. È la storia che ci è passata sotto gli occhi, quella del ventennio dell’era dei computer, della crescita esponenziale delle informazioni disponibili (testi, immagini, video) e della possibilità di fruirle su uno schermo. Un’accelerazione che non potrà che crescere con la diffusione di strumenti come i telefonini «intelligenti» e, ora, gli ebook e l’iPad, appena messo in vendita dalla Apple negli Stati Uniti: la consacrazione della nuova epoca del supporto mobile ultrasottile e leggero, un po’ computer, un po’ giornale, un po’ tv e anche scaffale della libreria. La rivoluzione delle meraviglie digitali ha, però, anche cominciato a scavare una grossa voragine nella memoria dell’uomo. E non solo perché le nuove tecnologie cambiano i meccanismi dell’apprendimento e spingono verso percorsi di lettura più superficiali, continuamente interrotti dal ricorso ai link: coi nuovi supporti magnetici o elettronici, la conservazione delle informazioni per lunghi periodi di tempo si è rivelata un’impresa sorprendentemente ardua.

Non si tratta solo della perdita di dati o immagini, magari non essenziali, delle nostre vite private. Ormai, tra l’altro, le foto si possono archiviare anche in rete, se non ci si preoccupa troppo della privacy e della durata del servizio. «Tra l’altro nota Nicholas Carr, studioso dell’impatto della Internet culture sulle società contemporanee, «la crescente tendenza a trasferire i propri dati nelle cosiddette "nuvole digitali" senza più archiviarli in supporti di memoria personali crea una nuova vulnerabilità. Nella "cloud", infatti, tutto passa da un sistema di elaborazione di dati centralizzato. Che può essere sicuro e fruibile per un gran numero di anni. Oppure vulnerabile, esposto a incidenti tecnici, concepito con un orizzonte temporale limitato. Noi non lo sappiamo: siamo completamente nelle mani di chi gestisce il servizio».

Ma il problema della conservazione del patrimonio collettivo delle civiltà è ben più serio di quello dei nostri dati privati. Qui la desertificazione della memoria dilaga ovunque: i risultati dei censimenti Usa del periodo 1960-1980 sono andati in gran parte perduti, mentre il Pentagono non riesce più a recuperare i dati sull’uso di defolianti — l’agente «orange» — durante la guerra del Vietnam. Informazioni preziose per la ricerca e l’aggiornamento di alcune terapie mediche. La Nasa, poi, oltre a non avere più un programma spaziale degno di questo nome, sta diventando un cimitero di informazioni sepolte: i nastri sui quali sono stati registrati i dati dei voli spaziali degli Anni 70 sono inservibili da più di un decennio. Alcuni erano stati tradotti in formato digitale prima del loro decadimento, altri no. Ma anche gli apparecchi per la lettura dei nuovi formati, nel frattempo, sono divenuti obsoleti per la rapida evoluzione delle tecnologie elettroniche.

Il libro non ha bisogno di strumenti speciali per essere letto e, se la carta non contiene acidi, dura secoli: senza risalire alle incisioni su pietra e ai papiri dell’antico Egitto o alla Mesopotamia delle tavolette d’argilla vecchie di tremila anni che contengono il poema epico Gilgamesh, il volume di carta più antico, rinvenuto un secolo fa in una caverna della Cina, risale all’868 dopo Cristo. Sono numeri che fanno impallidire archivisti ed esperti della conservazione dei materiali che, alle prese con le tecnologie elettroniche, devono fronteggiare due ordini di problemi. Il primo riguarda il rapido deterioramento dei materiali: nastri magnetici di registratori audio e video, pellicole, floppy disk morbidi, hanno vita breve, dai cinque anni ai vent’anni. Cd e dvd si ritiene che possano durare, a seconda della qualità dei materiali usati, da venti a cento anni, ma nessuno ha idee chiare in proposito. La rottura dell’hard disk di un computer significa morte istantanea per tutte le informazioni che vi erano state immagazzinate. Il secondo nodo è quello della difficoltà di mantenere in efficienza strumenti elettronici ormai superati ma che sono gli unici in grado di leggere supporti (nastri, dischi, schede di memoria) non compatibili coi computer delle ultime generazioni.

Siamo ancora nell’infanzia dell’era digitale, ma le storie sono già molte: la manutenzione di centinaia di testate nucleari degli Anni 70 è costata al Pentagono 62 milioni di dollari più del previsto perché, per poter leggere manuali non disponibili su carta, è stato necessario ricostruire da zero apparecchiature analogiche che risalgono a due generazioni fa. Ci si è riusciti soltanto grazie alla disponibilità di qualche esperto di tecnologie ormai perdute, che ha accettato di interrompere la vita da pensionato per tornare al lavoro. La Nasa, racconta la rivista «New Scientist», ha vissuto una vicenda simile: aveva bisogno di recuperare i dati trasmessi negli Anni 60 dalle sonde Lunar Orbiter, ma non aveva più i lettori di nastri del tempo. Alla fine ne ha trovato uno nella cantina di un suo ex dipendente: era diventato la tana di una lucertola. Restaurarlo e imparare di nuovo a usarlo è stata un’impresa. Problemi che riguardano la scienza, ma anche la conservazione di tutti gli altri aspetti della nostra civiltà, dalla letteratura alla storia. L’Archivio nazionale di Washington ha investito una cifra enorme per evitare che 11 mila ore di registrazioni di testimonianze di criminali nazisti al processo di Norimberga — a partire dal racconto del dottor Mengele dei suoi esperimenti su cavie umane — andassero perdute. Anche qui è stato necessario ricostruire un Recordgraph, strumento col quale, negli Anni 40, venivano letti rudimentali nastri di plastica.

Anche la letteratura comincia ad avere i suoi problemi. Salman Rushdie sta esponendo alla Emory University di Atlanta il suo materiale d’archivio: libri, manoscritti, giornali e quattro computer Apple. Un «giacimento» digitale di 18 gigabyte, la cui esplorazione, però, già presenta grossi problemi tecnici. E sì che Rushdie ha cominciato a usare la scrittura elettronica solo 21 anni fa, quando la fatwa dell’ayatollah Khomeini lo costrinse a vivere nascosto. Quello dello scrittore anglo-indiano è solo il primo di una serie di casi destinati a diventare l’incubo di bibliotecari e archivisti di tutto il mondo: tre settimane fa l’Harry Ransom Center della Texas University ha annunciato di aver acquistato gli archivi digitali di David Foster Wallace, lo scrittore morto suicida nel 2008. A sua volta la Houghton Library di Harvard sta cercando di capire come utilizzare i 50 vecchi floppy disk ricevuti da John Updike poco prima della sua scomparsa. Leslie Morris, curatore della Houghton, ha spiegato al «New York Times» che la biblioteca non dispone della metodologia né delle risorse per «processare» questi supporti digitali: «Per ora ci limitiamo a conservarli in un ambiente con temperatura e umidità controllate». E Anne Van Camp, direttrice degli archivi della Smithsonian Institution, confessa allo stesso quotidiano di non dormirci la notte: tocca a lei, insieme ad altri esperti incaricati dalla National Science Foundation, cercare una risposta tecnicamente ed economicamente praticabile al dilemma della «digital preservation».

Mentre le riviste scientifiche di mezzo mondo immaginano scenari apocalittici — il mondo semidistrutto da guerre o cataclismi naturali con i superstiti che non riescono a ricostruire le conoscenze della nostra civiltà perché privi degli strumenti di lettura di ciò che resta degli archivi elettronici — commissioni governative, National Archives (che hanno investito 308 milioni di dollari nell’impresa) e fondazioni private cercano risposte per uno dei dilemmi più sorprendenti e sottostimati del nostro tempo. Le questioni sono tecniche ma anche economiche: la carta rimane l’unico standard certamente capace di durare nel tempo, mentre le rivoluzioni tecnologiche rendono rapidamente obsolete tutte le nuove macchine che arrivano sul mercato. E quando uno standard di lettura non è più considerato efficiente viene spazzato via: ingegneri e «softwaristi» hanno il culto dell’efficienza. La loro attenzione è tutta concentrata sull’immediato, sull’equazione «più veloce, meno costoso». «Quello dell’eternità» — sintetizza il «New Scientist» — «non è considerato un mercato interessante». Il timore, diffuso tra gli intellettuali, di perdere la memoria per effetto dell’avvento di una nuova era delle macchine che rivoluziona i meccanismi dell’apprendimento e anche quelli dell’archiviazione fisica ha ispirato lo scrittore di fantascienza Neal Stephenson che in Anathem, il suo ultimo romanzo, racconta la storia di una comunità di scienziati trapiantata sul pianeta Arbre. Uomini che, per sfuggire a una civiltà elettronica che atrofizza le capacità mnemoniche e spinge a ragionare con una logica di breve periodo, decidono di rinchiudersi in una specie di convento privo di computer dove tutti i calcoli vengono fatti a mano, su fogli di una carta capace di durare millenni. Un luogo nel quale si lavora solo su progetti privi di scadenza e nel quale l’unico motore di ricerca è la capacità di archiviazione della propria mente, quotidianamente allenata ad ampliare i confini del sapere immagazzinato.

Un romanzo visionario, metafora di una contemporaneità contrassegnata dalla diffusione dell’attention deficit disorder (la difficoltà che molti, soprattutto i giovani, incontrano nel concentrarsi). Più di uno spunto, Stephenson lo ha trovato in una curiosa iniziativa, quella della Long Now Foundation (Fondazione del lungo presente): un’associazione filantropica di intellettuali — dal musicista Brian Eno al «computer scientist» Danny Hillis — che credono nel valore della tecnologia, ma vogliono anche contrastare il diffondersi della logica dello short term, del risultato immediato, da loro vista come una sorta di «sottocultura digitale». L’iniziativa più nota della fondazione, il cui obiettivo è seminare iniziative culturali che «guardano lontano», è il piano per la costruzione di un orologio meccanico capace di funzionare per diecimila anni quasi senza interventi umani, alimentato da pochissima energia, robusto e basato su componenti di basso valore in modo da ridurre il rischio di furti o di distruzione in qualche calamità naturale o provocata dall’uomo. Un piccolo prototipo è stato realizzato una decina d’anni fa ed è attualmente in funzione in un museo inglese. L’orologio millenario vero e proprio, una specie di cattedrale della meccanica, verrà, invece, costruito nei prossimi anni in un località del Nevada.

A progettarlo è stato lo stesso Hillis, scienziato informatico che ha speso la sua vita nello sviluppo di quella che il massmediologo Derrick De Kerckhove chiama la «fase cognitiva dell’era elettrica». Ma che è anche consapevole della fragilità delle tecnologie digitali e della necessità di assicurarsi contro il rischio di blackout o di improvvise ondate «controrivoluzionarie». La Long Now, comunque, ha in cantiere anche programmi dal valore più pratico come «Rosetta Project»: la realizzazione di dischi di nickel capaci di durare centinaia, forse migliaia di anni, ognuno dei quali, attraverso una tecnica di microincisioni, può contenere fino a 30 mila pagine di testo. È questa la via giusta per garantire che l’umanità, trasformando i suoi archivi cartacei in una sterminata biblioteca digitale come quella sognata dai fondatori di Google, non rischi di passare repentinamente da «tutta la conoscenza dell’universo a portata di click» all’improvvisa oscurità di un mondo che smarrisce la memoria? Difficile individuare una soluzione tecnica affidabile, rinunciare a ogni back up su carta. Di certo tutte le soluzioni allo studio hanno costi elevati e pongono il problema di quale sia, nella babele degli scritti e delle immagini, la conoscenza del mondo che merita di essere salvata.

Meglio, comunque, questi dilemmi che addentrarsi a cuor leggero, con l’ottimismo del tecno-utopista, in un mondo nel quale — come spiega Michael Olson, project manager degli archivi digitali dell’università di Stanford — gli unici a sapersi orientare tra dischetti, flash card, cd, dvd, vecchi e nuovi computer, sono i reparti specializzati della polizia investigativa. Dall’ottimismo di chi spera nella diffusione di una conoscenza universale e democratica ai saperi affidati a un «apriscatole» giudiziario.

Massimo Gaggi

http://www.corriere.it/cultura/10_aprile_04/memoria-era-digitale-scava-voragine_4dc400cc-3fc9-11df-8d90-00144f02aabe.shtml

mercoledì 17 marzo 2010

Pubblicate on line le "Linee guida per i siti web della PA" in una versione preliminare.

Linee guida per i siti web delle PA

Pubblicate on line le "Linee guida per i siti web della PA" in una versione preliminare.
E' possibile partecipare, attraverso un forum di discussione dedicato, ad una consultazione pubblica telematica della durata di due mesi per coinvolgere i vari stakeholder al fine di proporre suggerimenti e indicazioni, che saranno utili per una revisione del documento.
Previste dalla Direttiva del 26 novembre 2009 n. 8 e rivolte a tutte le amministrazioni pubbliche, le Linee guida intendono avviare un processo verso il "miglioramento continuo" della qualità dei siti web pubblici.
Questi i temi fondamentali trattati: razionalizzazione dei contenuti on line e riduzione dei siti web pubblici, registrazione al dominio .gov.it, caratteristiche e componenti principali di un sito web pubblico, trattamento dei dati e della documentazione pubblica on line, copyright, partecipazione web 2.0 e principi base per misurare la qualità dei siti.

Per saperne di più

* Presentazione delle linee guida per i siti web
* Linee guida per i siti web
* Accedi alla consultazione telematica

martedì 23 febbraio 2010

“Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”: è solo trollismo, ma è pericoloso. Impariamo a disinnescarlo.

Articolo da non perdere sul tema “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”: è solo trollismo, ma è pericoloso. Impariamo a disinnescarlo".

Troll,, FaceBook ed il regime

Troll di regime

Sul gruppo di Facebook contro i bambini down ha già detto bene e molto Fabio Chiusi: spiegando come oltre un certo limite il trollismo crei «dolori per la libertà di espressione in rete di tutti».

Aggiungerei solo che le prossime due settimane saranno decisive nella discussione di un paio di leggi finalizzate a soffocare la Rete in Italia: il decreto Romani sui video e il riesumato disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, con la nota norma ammazza-blog.

Nessuno vuol fare tanta dietrologia da pensare che il gruppo anti-down sia stato fatto apposta: ma certo bastava sentire i titoli dei tg di stasera per capire che all’approvazione di queste leggi è stato molto utile.

Insomma, lo chiamerei trollismo di regime.

Postato questo commento nel blog di Gilioli : la matrice di alcuni tra questi gruppi “aberranti... Mostra tutto” è spesso rintracciabile nel gruppo “Radio Troll” i cui membri cambiano vorticosamente nome ed identità. Il culto di ideologie di destra estrema è rintracciabile in loro vecchi post che avevo visti al tempo del gruppo “Adotta un bambino haitiano morto” (gruppo fondato da due dei membri di Radio Troll) ma, sinceramente non mi va di andare a rintracciare ora. Questo gruppo, come altri analoghi, continuano una opera indefessa di trollaggio. E’ vero che questo gioco è cavalcato dai vari Alfano di turo ma altrettanto vero è che questo drappello affonda le radici in aree diverse.

Sono anche andato a verificare se, come era stato il caso dei gruppi ANTI “adotta un bambino haitiano morto” i fondatori fossero riconducibili alla stessa radice dei fondatori del gruppo contro cui andare (teoricamente) contro ma mi parrebbe non essere così.
O almeno non ho trovato la strada giusta.





Viral trolling e il Vendicatore Mascherato.

E' stata la prima cosa che ho pensato, ma non ho osato scriverla. Poi per fortuna ha provveduto Gilioli, imprimendo il suo marchio di autorevolezza ai miei più nascosti sospetti.

Come mai, mi chiedevo, ogni volta che in Parlamento si deve discutere qualche legge relativa al web salta fuori il sito nazista o la pagina Facebook delirante? E per "salta fuori", s'intende ovviamente il venir squadernata su ogni TG della sera, con grave scandalo ed indignazione del popolo tutto.

Ma se finora poteva esserci qualche barlume di credibilità nelle pagine che inneggiano ad esempio ai lanciatori di souvenir, con il gruppo Facebook che invoca la morte dei bambini down (con tanto di foto di delizioso faccino di neonato con l'insulto stampato in fronte) si è raggiunto e oltrepassato il limite dell'assurdo e del ridicolo. Forse finora non ci eravamo scandalizzati abbastanza.

Vi pare inverosimile che sia un trolling? Eppure il meccanismo è semplicissimo, basta ispirarsi al viral marketing. Ecco come si fa. Si crea una pagina Facebook inneggiante alla cosa più ignobile e assurda venga in mente, tale da destare indignazione persino nel più efferato dei criminali (che so: "evviva i mafiosi che gettano i bimbi nell'acido", così per dar loro un'idea); la pagina viene firmata con nomi da fumetto: il Vendicatore Nero e il Malvagio Mascherato sono nickname alla Tom Sawyer, atti a destare paura solo nei bambini dell'asilo e nei giornalisti italiani. Poi, si segnala tale gruppo presso tutti i contatti di altri account.

In un attimo, il gruppo conterà migliaia di iscritti: ovvero, tutti coloro che si iscrivono subito per insultare i creatori della pagina. Si, perché la stampa fa finta di non saperlo, ma anche per dissociarsi da un gruppo occorre prima iscriversi.

Il regalino è pronto. Giornali e TV si buttano a pesce a raccontare ai milioni di italiani che non sanno neppure come ci si collega ad Internet (ma che sanno usare perfettamente i loro cellulari) che la Rete è sentina di vizi e collettore di bassi istinti criminali, i politici si precipitano a rilasciare dichiarazioni indignate (si indignano a compartimenti stagni), e il Parlamento propone soluzioni fantasiose quali costringerci a dare la carta d'identità ogni volta che battiamo un tasto sul PC. Bisogna pur combattere certe efferatezze!

Facebook si presta benissimo a tali operazioni di viral trolling di regime. Se ne sta, indifferente a tutto, a Palo Alto in California, ed è impossibile risalire a chi sia stato, a differenza di un qualsiasi server italiano che sarebbe obbligato a fornire i dati di chi si è collegato in un dato momento (esatto: questa legge esiste già!). Inoltre, si conta sullo spirito di emulazione di tanti imbecilli o ragazzini che pur di finire in televisione (massima ambizione italica) si affrettano a inaugurare gruppi "diamo fuoco ai cuccioli abbandonati", svolgendo comodamente il lavoro gratis al posto degli troll addetti. Per finire, si conta anche moltissimo sulla boccalonaggine dei navigatori italiani, che amano tanto la libertà di espressione e quindi non sanno trattenersi dal dare la guazza a questi finti gruppi pur di coprirli di insulti.

Eppure sarebbe tanto facile: basterebbe NON iscriversi a gruppi civetta, neppure per insultarli. Cosa se ne farebbe il TG di un gruppo con 4 iscritti? Non è una notizia. Perché la notizia, cari miei, siete voi che vi iscrivete. Siete "migliaia", migliaia di "sostenitori" di efferati criminali senza cuore. Non importa che l'abbiate fatto per insultare, questo particolare viene abilmente taciuto (a dimostrazione della malafede di tutta l'operazione), e voi venite usati per infamare tutta la Rete.

Il prossimo gruppo, "Impicchiamo la vecchietta del terzo piano", non mi avrà. E il Vendicatore Mascherato potrà cantarsela e suonarsela da solo, per quel che mi riguarda. Don't feed the regime troll.


giovedì 21 gennaio 2010

Equo compenso?

Il ministro Bondi ha firmato: SIAE dovrà redistribuire agli autori denari che proverranno dalla vendita di dispositivi di archiviazione di ogni tipo, telefonini compresi. Anche se non destinati alla copia privata

leggi l'articolo su Punto Informatico

giovedì 7 gennaio 2010

Qualità dei siti web pubblici

Direttiva n. 8/09 - Relativa alla riduzione dei siti web delle P.A. e per il miglioramento della qualità dei servizi e delle informazioni on line al cittadino

Disposizioni in materia di riconoscibilità, aggiornamento, usabilità, accessibilità e registrazione al dominio ".gov.it" dei siti web delle P.A..
Registrata alla Corte dei conti in data 17 dicembre 2009, Registro n. 11, foglio n. 33
26 novembre 2009




Le amministrazioni pubbliche che intendono mantenere attivi i siti internet istituzionali dovranno provvedere all’integrazione del dominio .gov.it nel più breve tempo possibile, rimuovendo, nel contempo, tutti i siti non più ritenuti utili.
Con l’emanazione della direttiva 8/2009 il Ministro Brunetta intende operare una drastica razionalizzazione dei siti web delle pubbliche amministrazioni al fine di migliorare i servizi e le informazioni che vengono resi al cittadino attraverso la comunicazione internet.

Uno dei principali strumenti per veicolare informazioni e servizi ali cittadini è quello del sito web istituzionale. Ma fino ad oggi, si legge nella direttiva, la loro realizzazione “è nata dalla singola iniziativa con modalità spesso eterogenee”. Soprattutto per il fatto che in questi anni si è verificata la registrazione e la creazione di siti web per specifici progetti che non hanno avuto una correlazione col sito internet istituzionale della pubblica amministrazione. Senza dimenticare il fatto che la PA creatrice del sito non ha poi provveduto alla rimozione del sito anche dopo la chiusura del progetto o dell’iniziativa. Il cittadino spesso si imbatte in pagine internet su siti pubblici che non sono né validi né aggiornati. Pertanto, scopo della direttiva, è fissare delle regole in merito al corretto uso della rete da parte delle amministrazioni pubbliche.

Tutte le amministrazioni pubbliche che intendono “essere presenti” su internet dovranno dotare il proprio sito del dominio “gov.it”. Questo dominio costituisce l’unico punto di “riconoscibilità, usabilità e accessibilità” in quanto permette al cittadino di rendersi immediatamente conto che si trova davanti ad un sito della pubblica amministrazione.

Tutte le amministrazioni dovranno al più presto effettuare una ricognizione dei siti che intendono mantenere attivi (cioè rintracciabili sulla rete) e provvedere alla loro iscrizione con il dominio “gov.it”. L’obiettivo è quello di sviluppare, promuovere e diffondere un accesso diretto, semplificato e qualitativamente valido alle informazioni che, attraverso il mezzo telematico, vengono rese all’utenza.

Nel contempo, tutti i vecchi siti internet, per i quali le stesse amministrazioni pubbliche proprietarie non ritengono più opportuno il loro mantenimento, dovranno essere cancellati. Le PA dovranno rendere noto al dicastero della Funzione Pubblica l’elenco dei siti che intendono dismettere.

tratto da: http://www.accessibile.gov.it/news/direttiva-n-82009-dominio-gov-it-per-tutti-i-siti-della-pa-e-%E2%80%9Crottamazione%E2%80%9D-di-quelli-obsoleti/



http://www.funzionepubblica.it/dipartimento/docs_pdf/dir_n_8_09.pdf

vedi anche:

http://www.accessibile.gov.it/news/direttiva-n-82009-dominio-gov-it-per-tutti-i-siti-della-pa-e-%E2%80%9Crottamazione%E2%80%9D-di-quelli-obsoleti/


http://archimacerata.splinder.com/post/21905100/Direttiva+Brunetta+sulla+quali

 
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